Balilla Righini

L’otto ottobre 2012, all’età di 101, ci ha lasciato Balilla Righini. Una perdita particolarmente sentita dalla nostra associazione: la sua intelligenza,accompagnata da una lucida memoria, è intervenuta con scrupolo e attenzione sugli argomenti che hanno interessato l’arco del XX secolo e riguardanti la miniera, i compagni minatori e non solo.

Diverse pagine del nostro ultradecennale ‘Paesi di Zolfo’ hanno riportato i suoi preziosi contributi di testimone minerario (come usava definire con orgoglio il suo lavoro da minatore); anche nell’ultimo numero davamo notizia dell’incontro, nel marzo 2012, con gli alunni di IV elementare della scuola di San Vittore di Cesena. Poi la fastidiosa indisposizione di natura urologica che, piano piano, l’ha relegato,a malincuore, prima in casa sua a Borello e poi a Cesena nell’abitazione della nipote, che lo accudiva.
Sino alla fine, la sua memoria è stata viva: nelle ultime visite, che gradiva particolarmente, si continuava a conversare ed a chiedergli particolari su episodi che puntualmente chiariva. L’espressione senegalese ‘quando muore un vecchio va a fuoco una biblioteca’,si addice al caro Balilla e riassume fedelmente quanto ha rappresentato la sua onesta vita per noi. Ci ha arricchito con la sua saggezza, ci ha affascinato con la sua lunga esperienza lavorativa, ha proiettato con il racconto delle sue storie una luce sul passato poco conosciuto delle nostre miniere di zolfo.
Nell’aprile 1998 ho intervistato Balilla con l’aiuto di una piccola telecamera nel suo laboratorio dove creava di tutto: dalle cornici in legno lavorate a bulino, dalle lampade a carburo ricavate da residui di vecchi involucri di bombe di cannone e mortaio dell’ultima guerra, da fucili ornati di artistici calci in legno intagliato e tanto altro.
Balilla parla soprattutto in dialetto romagnolo. Qui di seguito viene sintetizzata la sua vita desunta dalla sua testimonianza:
“Sono nato l’8 novembre 1911 a Borello-Fosso Luzzena e battezzato nella chiesa di Luzzena mentre alla Comunione mi ha ‘messo’ don Amos Dusi , il
primo parroco di Borello e che veniva da Cesenatico.
Mio padre, Enrico, nato il 6 agosto 1876 a Formignano, ha iniziato a lavorare nella miniera Busca a tredici anni come manovale e poi come stalliere addetto ai somari e muli: per cinquant’anni ha svolto sempre lo stesso mestiere. All’inizio la miniera era di proprietà di una società bolognese poi passò alla Soc.Trezza Albani e poi alla soc. Montecatini. Mia mamma, nata il 22 luglio 1880, si chiamava Teresa Mordenti, suo padre Gaspare era fuochista e addetto alla caldaia della miniera di Formignano. Morì in un incidente di lavoro per lo scoppio della caldaia assieme a suo figlio Leopoldo che era andato verso mezzogiorno a portargli il pranzo. Non so dire la data dell’incidente perché mia nonna quando mi raccontò questo episodio
non se la ricordava. Sempre nella casa di Fosso Luzzena sono nate le mie due sorelle, ancora vive: la Dirce la più grande è del 1903, la Giuseppina è del 1905, mio fratello nato nel 1907 è morto di recente. Nel 1918 ci fu l’epidemia detta ‘la Spagnola’, morirono moltissime persone; ricordo che mia madre usava i fumi di zolfo per disinfettare le stanze di cucina e da letto; nessuno della mia famiglia ha sofferto di questa terribile malattia.
Eravamo in sette allora compreso la nonna materna.
Le scuole elementari le ho fatte a Formignano sino alla classe quinta e la mia maestra era Rasi Maria di Cesena, severa ma molto brava nell’insegnamento. Il mio compagno di banco era Alfredo Mazzanti detto ‘Fidon’, bravo in matematica e con una gran bella calligrafia.Terminate le scuole non sono andato a bottega ad imparare un mestiere, ma ho iniziato a lavorare con i muratori, più precisamente con il capomastro Giobbe
Comandini e manovale nella costruzione delle scuole elementari di Borello, forse verso il 1925. Poi lavorai per cinque mesi nel 1926 con un appaltatore muratore, detto Angiol – Venturi che aveva edificato la chiesa di Borello, nella miniera di Valdinoce detta ‘La Rossa’per costruire un forno doppione. Andavo a piedi da casa mia, nel fosso di Luzzena, a Valdinoce impiegavo un’ora e mezzo andare e altrettanto per tornare. Avevo
anche la bicicletta, che acquistammo dal meccanico di San Carlo, certo Dino Zanuccoli ma in quelle strade era impossibile viaggiare. Il 2 giugno 1927 fui assunto alla miniera di Formignano, di proprietà della Soc.Montecatini, dall’allora direttore ing. Guerrazzi, mi accompagnò e presentò mio padre. Fui assegnato come aiutante carpentiere nella costruzione delle armature nelle gallerie. Ho lavorato all’inizio nel 13° livello.
Il salario era di £ 9,20 al giorno. I minatori avevano un salario variabile, lavoravano a cottimo: più vagoni di minerale producevano e più prendevano. Il lavoro in galleria era suddiviso per cantieri (circa 10/12), in ogni cantiere era occupato una squadra formata da 7 o 8 operai, il totale delle squadre formavano la ‘sciolta’, con turni di otto ore (ore 7, ore 15 e ore 23); c’erano anche operai che lavoravano da soli ed erano addetti ad aprire nuove gallerie. Con noi vi erano pure 12 asini ed un mulo condotti dai careggiatori al traino di 12 o 13 carrelli ciascuno e sino all’11 livello, anche loro facevano i turni di otto ore, poi alloggiavano nelle stalle poste a circa 170 mt. di profondità e vicine al tiro dell’aria del camino sopra il villaggio dell’Aie. Nelle gallerie vi era una canalina di scolo delle acque verso un deposito, di qui la pompa principale le scaricava all’esterno. Prima che arrivassero i compressori dell’aria che faceva funzionare i martelli pneumatici, i fori nella roccia si facevano, per
circa un metro di profondità, con la barramina, un’asta di ferro lunga due metri e che finiva con due punte a forcella, per togliere poi la polvere di roccia dal foro si usava una ‘spagetta’o cucchiaino. I fori dove si metteva, in tempi andati, la ‘polvere nera’ e successivamente una cartuccia da cm 10 di ‘Grisottina’ – una miscela di esplosivo che lavorava bene ed era meno costosa della dinamite.- erano nel cantiere o’lugh’(in dialetto) due
massimo tre . Mentre quando c’era l’avanzamento di nuove gallerie i fori che si facevano erano 9 o 10, in questo caso la chiamavamo ‘volata’. Lo scoppio delle cartucce era ben controllato perché se una non scoppiava poteva creare seri guai. Infatti Emilio Gori Borello 2008 – Balilla e il suo
inseparabile mezzo di locomozione e un certo Dallara di San Vittore non si erano accorti che una di queste cartucce non era esplosa, rifecero
con il martello pneumatico il foro, la polvere scoppiò e rimasero tutte e due ciechi. Un’altra avvertenza che dovevano avere i minatori era il controllo che non ci fosse un principio d’incendio dopo l’esplosione. Anche a Formignano si verificò una tale situazione, non si riuscì a spegnere l’incendio e la galleria fu chiusa con una muro di pietre per togliere l’aria al fuoco e ciò per alcuni mesi. Il sorvegliante R.S. addetto a quel cantiere non fu all’altezza di dirigere i lavori e venne, dall’ing. Ordan, retrocesso alla mansione di operaio. Uno scoppio di una mina poteva
frantumare, in certi casi, un quantitativo di roccia che poteva riempire perfino 10 carrelli. Per alcuni anni ho gestito la polveriera della miniera. La galleria dell’11° livello era enorme dal lì partivano altre gallerie che portavano sino al 22 ° livello.Lo zolfo prodotto a Formignano, mi dicevano,
era migliore rispetto a quello di Perticara, era più puro, conteneva meno catrame e quindi più adatto all’industria chimica.
A 21 anni, nel 1932, sono partito per il servizio militare di leva e per 18 mesi. Ero al VII° rgt. Fanteria di Milano in P.za S. Ambrogio. Era direttore della miniera allora l’ing.Veniero Zamboni. Al ritorno, l’8 settembre del 1933, iniziai una nuova mansione, fui manovratore ad un argano e addetto ad un compressore d’aria e ciò sin quasi alla chiusura della miniera di Formignano che avvenne nel 1962. Fui trasferito assieme a molti
miei compagni a Ferrara allo stabilimento chimico della soc. Montecatini per maturare gli anni mancanti ed ottenere così la pensione.
Nel 1936 la mia classe, quella del 1911, venne richiamata per la guerra d’Africa e la conquista dell’Etiopia. Non partii perché fui operato
urgentemente all’ospedale militare di Firenze per un attacco di appendicite. Rimasi al deposito militare di Firenze come scritturale.
Mi sposai l’8 febbraio 1936 con Elvira Matassoni perché in quel periodo veniva dato un premio alle nuove coppie. Mi congedai nel 1937, era direttore allora l’ing. Ubaldini e poi è venuto l’ing. Pietro Longo. Non ho partecipato alla seconda guerra mondiale in quanto indispensabile al servizio in miniera. A sostituire il direttore ing. Longo fu mandato il dr. Majorana e successivamente venne l’ing. Ordan”
Qui Balilla ricorda l’ing. Ferdinando Macchetto direttore della soc. Zolfi. “L’ing. Macchetto è stato ai primi anni ’20 direttore a Formignano della
miniera. Rimase vittima assieme al vice-direttore della Zolfi, geom. Forlivesi, nel 1934 nella miniera di Monte Giusto, vicino a Cella di Mercato Saraceno. Respirarono il grisou perché andarono in un posto della galleria che non dovevano andarci, anzi non avevano nemmeno la lampada di sicurezza. Morirono soffocati”.
Altro ricordo di Balilla riguarda la figura dell’ing.Pietro Longo, direttore nella miniera di Formignano durante la seconda guerra mondiale. Più precisamente riferisce l’episodio della morte di Longo ad opera di fascisti durante la Repubblica di Salò.Il racconto di Balilla, che fu testimone a
Formignano, quando il direttore venne picchiato nel piazzale della miniera e poi portato nelle carceri della Rocca di Cesena dai militi fascisti, ha
qualche lacuna che, nel 2004, allorché il nipote del direttore, ing Giuseppe Di Marco, dopo aver trovato il nostro sito in internet ha chiarito le fasi della tragica morte dello stesso, avvenuta a Bologna nell’ottobre del 1944.
“Un milite della milizia che conoscevo bene, tale Z.B. di San Carlo, riconobbe alla stazione ferroviaria di Bologna l’ing. Longo e per lui fu la fine: venne ucciso con un colpo di pistola. Al termine della guerra anche per il milite prima ricordato toccò, per opera dei partigiani, la stessa fine. Più precisamente a Settecrociari di Cesena con un colpo di pistola alla nuca. Andai a San Carlo e vidi il cadavere di Z.B. nella bara. Lo conoscevo molto bene andavamo a scuola di musica assieme, io suonavo il violino e lui, mi sembra, il sassofono.
Per arrivare alla miniera di Formignano i minatori di Borello andavano, nella bella stagione, a piedi per un sentiero lungo il fosso Luzzena, mentre chi abitava a Gallo passava dal Fosso Tizzola. Negli anni ’50 venne da ‘Tino’ istituito un servizio di corriera che copriva i tre turni di lavoro, ma molti minatori avevano pure comperato un motorino per raggiungere la miniera”.
Sugli incidenti avvenuti in miniera Balilla ricorda:
“Mazzanti Ermanno det Tarlanten morì, forse, per un errore di manovra dell’argano da chi azionava i carrelli che discendevano e salivano dalla galleria. Più precisamente il Mazzanti doveva scendere al 14° livello per scaricare delle pietre e della sabbia,dal manovratore che azionava il tamburo dell’argano venne tolto il freno e il carrello partì a forte velocità L’ing. Pietro Longo in miniera a Formignano verso il 15° livello,
il povero Ermanno sbatté violentemente la testa contro il soffitto o meglio in termini minerari contro la ‘sega’. Non morì subito, rimase in vita
ancora per un giorno.
In un altro incidente morì Severi Domenico, addetto alla messa in sicurezza di una galleria. Nel togliere un puntello in legno crollò l’intera armatura e rimase schiacciato: Non ricordo bene l’anno ma dovrebbe essere successo dopo la IIa guerra mondiale. Venne assunto il figlio Ubaldo, che di mestiere faceva il barbiere, ed in miniera l’elettricista. Con Ubaldo ho fatto le elementari a Formignano, dove abitava suo padre. Anche lui alla chiusura della miniera nel 1962 venne trasferito a Ferrara. Credo che sia morto” Ero iscritto al sindacato della UIL, il segretario era Comandini addetto alla lampisteria della miniera, io ero il cassiere e riscuotevo le quote dei nostri iscritti. Scioperi in miniera si facevano, io non li ho
mai fatti. Durante il periodo fascista non c’erano i sindacati. Venne istituito dalla Montecatini il CRAL, il dopolavoro dove c’era una biblioteca e il gioco delle bocce. Era in una casa poco prima dell’Aie di Formignano.
Ho abitato a Gallo di Borello per 14 anni come affittuario di Bertozzi Egisto, figlio di Primo che è stato nell’800 uno degli imprenditori di miniere nel Cesenate. Il terreno dove ho costruito la mia casa me l’ha venduto per l’appunto Egisto Bertozzi e mi ha agevolato molto nel pagamento. Suo fratello Balilla Bertozzi è stato un dirigente della soc. Zolfi ma di lui ho poche notizie. La Zolfi aveva gli uffici, i laboratori,
il mulino per raffinare lo zolfo al ‘Fabbricone’ subito dopo Borello. Gestiva le miniere di Valdinoce, una detta ‘Il Paladino’ e l’altra ‘La Rossa’ , quella vicino a Casalbono detta ‘Sant’Apollinare’, quella di Montevecchio vicino al fiume Savio e l’ultima quella di Monte Giusto dove avvenne, nel 1934, l’incidente in cui perirono l’ing. Macchetto e il geom. Forlivesi.
Quando venne chiusa, il 30 giugno 1962 la miniera di Formignano era direttore un certo Zunkermann che procedé allo smantellamento di tutto l’impianto; dalle gallerie vennero portate via le pompe, le rotaie etc., tutto il materiale fu venduto a blocchi”.
Alla fine Balilla racconta qualche episodio di vita vissuta: “Mio padre era un repubblicano e da giovane partecipava alle riunioni di partito, nessuno
andava in chiesa e ho visto che anche il trasporto funebre di questi nostri vecchi era senza il prete. Ai cortei partecipavano le varie sezioni di partito, ognuna con le proprie bandiere, nel cimitero il capo sezione leggeva’la lettera’ ricordando le azioni e le imprese compiute dal defunto, insomma la vita. A Formignano il capo dei repubblicani era un certo Frati detto ‘e barbiron’, era lui che leggeva ‘la lettera d’accompagno’ nei funerali. Quando morì lui in un incidente sul lavoro, faceva il falegname in miniera: una sega circolare si spaccò e gli tagliò la testa. Al suo
funerale civile partecipò una moltitudine di persone venute anche da lontano con le bandiere”.
Dal 1998 Balilla ci aiutò come testimone negli incontri con i ragazzi delle scuole elementari e medie. In diverse interviste sia con giornalisti di televisioni locali sia con quelli di RAI tre lo videro protagonista schietto, chiaro e convincente. Quando nel 2005, finalmente, inaugurammo il monumento al minatore Balilla era molto contento. Era un socio fedele della nostra Associazione; ricordo il suo gesto generoso che compiva ai primi di gennaio di ogni anno … preparava per noi la busta con dentro i soldi della quota annuale oltre alla sua offerta pro-monumento.
Avevamo la sua stima e questo per noi è stato un gran bel regalo! Che la terra ti sia lieve Balilla.

Pier Paolo Magalotti