Lo zolfo nel cesenate

Lo zolfo prodotto nell’alta collina dell’Appenino, seguendo il fiume Savio, confluiva in parte a Cesena e poi al porto naturale di cesenatico, punto importante per la commercializzazione del prodotto, creando di fatto una “VIA DELLO ZOLFO”

La miniera detta ” Sulfaranaccia”, ubicata nella parrocchia di Bacciolino e più precisamente nella valletta alla confluenza del rio Boratella nel fiume Savio, era certamente conosciuta dai Romani. Il più antico documento conosciuto, che ricorda lo zolfo romagnolo, si trova nell’archivio arcivescovile di Ravenna e risale al 1047 : “ottobre, Bulgarello, abate del monastero di S.Eufemia di Ravenna da in enfiteusi a Berardo Saraceno di Oterico -unam curtem Burum sita in territorio di Cesena nella pieve di S.Pietro in Sulferina”. La pieve di San Pietro in Sulferina è sicuramente da identificarsi con l’attuale paese di Borello, in comune di Cesena, alla confluenza del torrente omonimo con il fiume Savio, e centro del bacino minerario zolfifero del Circondario cesenate. Con la scoperta, nel 1320, della polvere nera o pirica, mescolanza di potassio, carbone di legna e zolfo, crebbe l’importanza delle piccole solfatare, cui si abbinò una fioritura di molini, lungo il fiume Savio ed il torrente Borello, per la produzione della polvere. A partire dal secolo XIV i documenti si fanno più frequenti e nel secolo XVI si ha notizia di coltivazioni razionali delle miniere romagnole. Documenti importanti sono anche le antiche bolle di Papa Paolo III, conservate nell’Archivio di Stato di Cesena, del dicembre 1535 e facenti parte dei benefici statutari della città di Cesena.

In virtù di quest’ultimi, nel territorio cesenate, si veniva così a formare una consuetudine che riteneva l’escavazione delle miniere zolfuree e la vendita dello zolfo come un diritto dei cesenati, con la sola limitazione di non dare il prezioso metalloide agli infedeli. Veniva annullato, quindi, il privilegio o monopolio che Papa Clemente VII aveva accordato alla famiglia di Bartolomeo Valori di scavare miniere nel territorio Cesenate. Lo zolfo prodotto nell’alta collina dell’Appennino, seguendo il fiume Savio, confluiva in parte a Cesena e poi al porto naturale di Cesenatico, punto importante per la commercializzazione del prodotto, creando di fatto una “via dello zolfo”.

Lo zolfo arrivato a Cesenatico veniva imbarcato su battelli di piccolo cabotaggio e trasportato al porto di Ancona, lì veniva trasbordato su velieri più grandi e prendeva la via della Spagna e delle Fiandre, che si stavano avviando a diventare il motore dell’economia mondiale Quando nell’agosto del 1502 Leonardo da Vinci, su commissione del Duca Cesare Borgia detto “il Valentino”, disegnava la pianta del porto di Cesenatico, prevedendo di progettare il prolungamento di un canale sino a Cesena con l’immissione delle acque del fiume Savio, certamente il commercio fiorente dello zolfo poteva aver influito non poco per un disegno così arduo. Nel 1675 Luigi Ferdinando Marsili, scienziato bolognese di elevata statura, visitava le miniere di zolfo in Romagna facendone un quadro vivo ed indicando le località con le lavorazioni attive : “Li luoghi che sino ad hora anno miniere di solfo sono Magliano a levante di Sarsina, Ciaia di lˆ dal Savio, quasi a vista di Mercato Saraceno, Casa di Guido, pure di là del Savio, Monte Aguccio egualmente di lˆ del medesimo fiume, di quà l’altre sono Monte Fottone, Buratello, Falcino e Casalbuono”.

In altro punto egli nominava anche la miniera di Formignano, ed a proposito di quella di Casalbuono nella quale erano stati scavati diversi pozzi che erano… ” di larghezza sufficiente a potere con un mulinello discender gli Huomini per travagliare, come ad estrarre tutto” Il Marsili accennava pure alle olle di terra refrattaria per la distillazione dello zolfo e descriveva i terreni, cimentandosi anche nella redazione di una accurata sezione geologica, dove chiama “Giul” quello che poi veniva chiamato Ghiolo.

Aveva acutamente osservato che gli strati di gesso, chiamati “seghe”, conservavano sempre lo stesso numero nell’ordine e materie che li componevano. Nel 1759 lo scrittore e poeta cesenate Vincenzo Masini pubblicava il poema “IL ZOLFO”, in tre libri e dedicato al cardinale Gianfrancesco Stoppani, legato della provincia di Romagna. Nel periodo che va dal giugno 1796, coincidente con la campagna d’Italia di Na-poleone, al 1814 la ricerca e lo sfruttamento dello zolfo in Romagna venivano regolamentati: era il Prefetto che provvedeva a rilasciare la licenza di coltivare la miniera.
Le istanze erano rese pubbliche dall’Autoritˆ prefettizia con la seguente formula:”si previene il pubblico, che chiunque avesse pretese e diritti per lo scavo della indicata miniera, debba entro il termine prefisso di tre mesi, oggi decorrenti, presentare le proprie istanze al mio ufficio miniere, spirato il quale non si avrˆ pi alcun riguardo a qualunque titolo di anterioritˆ o diritto”. Dopo l’unitˆ d’Italia tutta la materia veniva disciplinata dal decreto reale del 25 marzo 1865; mancava per˜ una normativa regolare ed uniforme su tutto il territorio per poter ottenere la licenza e l’investitura della coltivazione della miniera.
Infatti le leggi minerarie sullo zolfo esistenti in Sicilia continuarono ad essere valide, creando di fatto una vistosa disparitˆ che avrˆ notevoli conseguenze, verso la fine dell’Ottocento, nella crisi dello zolfo romagnolo-marchigiano .
I risultati erano perci˜ quasi sempre insufficienti, dal punto di vista produttivo, a causa del notevole frazionamento dei giacimenti, degli scarsi capitali investiti nelle miniere dai proprietari e della loro tendenza a conservare metodi tradizionali di lavorazione.
Solo nel 1927 venivano definitivamente eliminate le disparitˆ legislative; rimaneva valido il principio del cosiddetto “Diritto Industriale” secondo cui le miniere erano di proprietˆ dello Stato che conferiva l’esercizio ai privati mediante concessione

Ma la forte produzione di zolfo americano, grazie a innovativi e rivoluzionari metodi di estrazione in particolare quello cosidetto “metodo Frasch”, ci toglieva, a partire dal 1912, il monopolio nel mondo.
Per limitare i danni il Governo Italiano emetteva provvedimenti legislativi (r.d.l. 11 dicembre 1933 n.1699) atti a garantire un prezzo minimo ai produttori e con legge del 2 aprile del 1940 n.287 a creare l’Ente Zolfi Italiani, ma la crisi era irreversibile e all’inizio degli anni sessanta quasi tutte le miniere venivano chiuse. Da ricordare infine che con regolamento n.2716 del 23.12.1865 era istituito il Consiglio ed il Corpo Reale delle Miniere facente parte del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.