Rinaldo Brunetti (Schinon)

Il clima di violenza che spirava attorno all’ambiente delle zolfatare portava spesso il singolo individuo a cercare la soluzione dei propri problemi conflittuali arrivando anche all’eliminazione fisica dell’avversario. In presenza di risorse troppo scarse, di una vita difficile, di pericoli sempre incombenti, di uno Stato che aveva perso ogni autorità nei confronti dei suoi membri, come poteva essere l’ambito della Boratella, e sentito distante ed ostile, il minatore o il suo clan per conseguire i propri scopi o per difendersi imponeva quella “prepotenza”, che diventava un segno di distinzione, conosciuto in tutta la Romagna. L’Archivio del Tribunale di Forlì é affollato di decine e decine di fascicoli riguardanti omicidi, ferimenti, risse, furti, grassazioni dove alla voce “professione dell’imputato” compare “zolfataro o zolfataio”. L’omicidio di un sorvegliante commesso nel 1879 da parte di un giovane di 18 anni, Brunetti Rinaldo, che dopo aver scontato 39 anni di carcere morirà nel 1939 nella sua Monteiottone, é un episodio emblematico così come lo stesso personaggio la cui vita s’é potuta ricostruire attingendo a testimonianze orali raccolte da chi l’ha conosciuto negli ultimi anni della sua vita, peraltro trascorsi con onestà, rispetto degli altri e nell’osservanza dei dettati mazziniani. Brunetti Rinaldo nasceva alle Ville di Monteiottone di Mercato Saraceno il 23 febbraio 1861, da Settimio e Prati Domenica.
In quell’anno sorgeva pure lo Stato italiano unitario, e proprio in febbraio si riuniva il primo Parlamento che proclamava il Regno d’Italia e nuovo re Vittorio Emanuele II. Il padre Settimio era minatore nelle vicine miniere della Boratella, suo figlio ben presto, come molti coetanei, vi trovava impiego come carreggiatore in una delle tante “compagnie” che, a cottimo, estraevano il minerale. A partire dall’età di 14 anni, la sua vita é segnata da una serie ininterrotta di episodi di violenza. Il 13 giugno 1875 veniva imputato di ferimento per aver sparato con la propria pistola e ferito Fabbri Giovanni, contadino di Monteiottone. E la sentenza, emessa nel dicembre dello stesso anno, condannava il Brunetti a due mesi di carcere ed a una ammenda di 30 lire per il porto abusivo dell’arma. Il 17 luglio 1877, Brunetti Rinaldo in una galleria della miniera di Boratella III, dove lavorava come carreggiatore assieme a suo padre, “veniva in lite con Lombardi Atitlio, “caporale”di un’altra cmpagnia perché non gli aveva consegnato una tavola di legno richiesta, dava di piglio ad un coltello colpendo il Lombardi al labbro inferiore, alla spalla ed al gomito sinistro, cagionando ferite guaribili in 20 giorni.
Alla denuncia presentata dal Lombardi, i Carabinieri di Borello arrestavano, in quel di Piavola il Brunetti Rinaldo, detto Schinon (il soprannome compare la prima volta in questo verbale), che veniva tradotto nelle carceri del mandamento di Mercato Saraceno il 18 luglio.
Il Tribunale correzionale di Forlì comminava una pena di mesi otto di carcere, ridotta per amnistia a sei mesi in occasione della proclamazione, il 9 gennaio 1878, di Umberto I nuovo re d’Italia, ed al rimborso delle spese. La notte del 4 maggio 1878 veniva nuovamente arrestato in località Castagnoli di Mercato Saraceno dai Carabinieri di quella stazione per resistenza alla forza pubblica e perchŽ trovato in possesso di un coltello a serramanico, che nella collutazione aveva leggermente ferito un carabiniere.
Il 7 maggio nell’interrogatorio reso al Pretore Scagnolari, il Brunetti affermava: “..il coltello l’avevo nascosto nella manica della saccona e nel perquisirmi il carabiniere, che si spinse sopra di me come una jena, ebbe a tagliarsi leggermente. Perciò non dall’aver io opposta resistenza ma dal suo mal garbo usato nell’afferarmi ha urtato contro il mio coltello.” Lo stesso giorno il Pretore lo rimetteva in libertà. Il 29 giugno 1878 il Pretore di Mercato Saraceno, a seguito di denuncia dei Carabinieri del 17 maggio, ammoniva severamente il Brunetti “a meglio comportarsi dandosi ad una vita proba e laboriosa, sotto la comminatoria, in caso contrario , delle pene sancite per gli oziosi e i vagabondi.”

Da questa ultima data e sino al 12 agosto 1879 “Schinon” non incappava nelle maglie della giustizia, almeno in modo ufficiale; aveva cambiato la miniera, dove era occupato, passando, nel giugno 1879, dalla Boratella III alla Boratella II, sempre nei lavori sotterranei ma come cavatore; operando in galleria a cottimo si aveva la possibilità di maggior guadagno, infatti la paga giornaliera era di £.4,50 contro le 3 lire del minatore. Alle ore tre pomeridiane del 12 agosto 1879, martedì, si dava notizia del luttuoso fatto di sangue avvenuto in miniera alle 11.30 circa, e cioé l’omicidio di Pasino Guizzetti, capo sorvegliante dei lavori nelle gallerie, di anni 39. Il corpo di Pasino Guizzetti giaceva supino vicino all’ ufficio d’amministrazione, il Pretore procedeva al riconoscimento e dava l’ordine di portare il cadavere nella sala macchine, procedendo al più presto all’autopsia. L’ ing.Claudio Boitias, direttore della miniera Boratella II, di proprietà della Società dei Zolfi, francese di origine, redigerà il disegno d’ insieme della miniera e la probabile traiettoria dei colpi sparati.

L’autopsia del cadavere arriverà alla conclusione che : “..la causa unica ed immediata della morte del Pasino Guizzetti é stata esclusivamente la ferita del cranio che ledendo gravemente la massa cerebrale ha dato luogo alla morte istantanea. Riteniamo che l’arma feritrice sia stata lunga e da caccia e che possa essere stata esplosa in distanza di 10 a 15 metri.” Gli inquirenti ascoltati alcuni testimoni nella serata del 12 agosto, sospetteranno come autore dell’omicio Brunetti Rinaldo ed emetteranno ordine di cattura. Infatti il bettoliniere della Boratella II, Domenico Masi, riferiva : “che alle ore otto e mezza della mattina del 12 agosto si era presentato nel suo bettolino Brunetti Rinaldo, armato di una schioppa e l’aveva pregato di tenerla in custodia.Alle ore undici circa il Brunetti ritornava al bettolino e richiedeva la restituzione dell’arma. Dopo poco si udiva il colpo che avrebbe ucciso il Guizzetti e Brunetti fu visto allontanarsi coll’arma in pugno dirigendosi verso la miniera Boratella I.” Il rapporto dei Carabinieri stabiliva anche alle cause possibili che avevano portato il Brunetti all’omicidio: “..Ci risultò che il Brunetti nel 9 corrente mese veniva dal Guizzetti licenziato dal lavoro sottoterra in qualità di cavatore per irregolarità e negligenza, e nell’11 corrente veniva destinato alle opere la quale occupazione era meno lucrosa della prima.
Il Brunetti sino alle 5 pomeridiane del giorno 9 non era più andato al lavoro ed è assai verosimile che adiratosi per il suo primo licenziamento abbia concepito verso il Guizzetti vendetta che mandò stamani ad effetto.” Le prime ricerche dell’imputato “Schinon” risultavano infruttuose, i testimoni ascoltati dai Carabinieri erano concordi nell’aver visto il Brunetti fuggire verso il Monte di Piavola con lo schioppo a tracolla e “pallido in viso”.

Nonostante le battute e le indagini svolte anche nella vicina repubblica di San Marino l’imputato “Schinon” non veniva ritrovato. Dopo aver commesso l’omicidio il Brunetti, aiutato dai compagni d’associazione, era fuggito e dopo molteplici peripezie si era rifugiato in Francia. Nel giugno del 1880 il delegato di Pubblica Sicurezza alla Boratella, sig.Locatelli, riceveva informazioni riservate in tal senso ed avvisava, con tutte le cautele del caso, il Sottoprefetto di Cesena. Il 6 ottobre 1880 il Sottoprefetto Montanari di Cesena scriveva al Prefetto di “sentirsi preoccupato perché gli Internazionalisti di questo Circondario stanno tramando qualche attentato alla vita dell’augusto Sovrano in occasione della sua prossima andata a Firenze.Siccome il Delegato di P.S. di Boratella esprime il lontano dubbio che l’unico che potrebbe prestarsi per conto della setta Internazionalista a compiere l’orrendo misfatto di attentare alla Sacra persona del Re potrebbe essere quel tale Brunetti Rinaldo detto Schinon, nel caso non fosse vera la notizia del suo arresto in Francia di farmi avere quelle notizie raccolte..”.
Il 16 ottobre 1880, alle ore 10, veniva fissata l’udienza processuale alla presenza dei numerosi testimoni. Il 22 ottobre 1880 la Corte dichiarava Brunetti Rinaldo “colpevole dell’assassinio di Guizzetti Pasinio e lo condanna alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti civili e politici, al risarcimento dei danni verso gli eredi dell’ucciso ed al pagamento delle spese giudiziali Il 20 gennaio 1881 i Carabinieri di Bardonecchia ricevevano in consegna dalla Guardie Francesi il latitante Brunetti Rinaldo, che risultava iscritto nella circolare dei catturandi n.22 dell’anno 1879.

Il 14 febbraio 1881 nel carcere di Forlì veniva attuato un tentativo di evasione da parte di cinque detenuti, fra i quali il maggior responsabile era il Brunetti il quale aveva asportando la grata della finestra ed un pezzo di pavimento. Il Giudice Istruttore, il 30 maggio 1881, “ritenuto che il tentativo operato non sarebbe mai riuscito, dichiara non farsi luogo a procedere.” Il periodo di detenzione nelle varie carceri italiane del Brunetti non é stato possibile ricostruirlo nonostante ricerche tentate presso alcuni Archivi di Stato; si sa per certo che nel 1920, a 59 anni, usciva dalla prigione e ritornava prima a Montecastello di Mercato Saraceno e poi alla natia Monteiottone, dove esercitava, per un certo periodo, il mestiere di calzolaio, appreso in carcere e dove pure aveva impato a leggere e scrivere.

Le notizie che di seguito vengono riportate provengono da interviste fatte a persone che hanno conosciuto direttamente “Schinon” negli ultimi anni della sua vita.

Berardi Orlando Egisto,
figlio della cugina di Brunetti, Prati Fiorina o Gilda nata il 5. 7. 1877, fratello di Berardi Rosa, nata nel 1906, che ha accudito, dal 1931, “Schinon” a Monteiottone, racconta : “. .
ho conosciuto Schinon da bambino quando lo stesso veniva a trovare mia madre, dopo che era uscito di prigione. Avevo sei osette anni quando vidi Schinon : mio padre mi chiese di dargli un ferro che era vicino al fuoco del camino, io glielo diedi dalla parte più calda e poi scappai via. Schinon ridendo disse: – Guarda come è furbo il bambino! – Il fratello di Rinaldo detto Pioti, che morì in un incidente sul lavoro, aveva sposato una sorella di mio padre. Quando successe il terribile fatto, Rinaldo era già uscito dalla prigione. Si stava costruendo la strada da Case Castagnoli di Taibo a Mercato Saraceno quando venne fatta brillare una mina ed un macigno travolse il povero Pioti. La compagnia di Assicurazione non voleva liquidare nessun danno ai parenti in quanto, secondo i periti assicurativi, non essendoci eredi diretti, la moglie del defunto era già morta e non avendo figli, nulla era dovuto. Schinon non intese ragioni, si fece l’avvocato ed ottenne un compenso molto alto di c. a. 30. 000 lire. In prigione aveva imparato a leggere e scrivere, si diceva che in cella era con due ingegneri. Schinon raccontava a mia madre Fiorina che quando era in cella gli veniva in mente quanto gli diceva, da piccolo, sua madre, Domenica, “fai il buono perchè altrimenti vai a finire male”. E’ stato per molti anni in una cella di tre metri. Appena uscito di prigione Schinon abitava a Monte Castello nella casa vicino al fiume, appena usciti da Mercato Saraceno. Un giorno con mia madre andai a trovare lui e la sorella Filomena, che stava poco bene e che poi morì. Quest’ultima faceva abusivamente la levatrice ed ha avuto delle noie con la giustizia per la morte di una partoriente. Schinon faceva il calzolaio, prestava soldi a chi ne aveva bisogno ed era molto rispettato. Voleva venire ad abitare presso di noi, dopo la morte della sorella, perchè andava molto d’accordo con mia madre, ma vivevamo in un brutto posto (Re di Taibo): per arrivare alla nostra casa si doveva percorrere 800 mt. di mulattiera, d’inverno era quasi impossibile, per il fango, raggiungerla. Schinon era abituato ad andare a Mercato Saraceno quasi tutti i giorni e non ci pensò due volte a rinunciare a sistemarsi da noi. Con i suoi risparmi fece costruire, alle Ville di Monteiottone, due camere ed il bagno in adiacenza alla casa di Riceputi Ugo, marito di mia sorella Rosa. A Monteiottone era amico di Bartolini, che gestiva la bottega degli alimentari e l’osteria”.

Il racconto di Bartolini Elia, figlia dell’amico di”Schinon”, si inserisce a questo punto a completamento del precedente intervento. “I miei genitori avevano un negozio di generi alimentari con annessa l’osteria, denominata ‘cambaraccia’. Mio padre macellava anche molto bestiame, la cui carne veniva acquistata dai tanti minatori che lavoravano alla Boratella. Brunetti Rinaldo abitava a 100 mt. da casa mia. Non era sposato ed abitava con una parente che lo accudiva. Portava sempre un cappello, gli occhiali da vista ed un bastone. Faceva la sua passeggiata mattutina e quando si stancava si sedeva su un muretto, ed aspettava che qualcuno passasse per farsi dare un mano per rialzarsi; conduceva una vita molto regolata. Mi ricordo che mio padre era abbonato ad un giornale; il prevosto di Monteiottone, don Giorgi, lasciava spesso il suo, l’Avvenire d’Italia, per consultarlo. Anche la Voce Repubblicana veniva sfogliata tutti i giorni, in quanto la postina prima di andare alle Ville, dove c’era il circolo dei repubblicani, aspettava una ventina di minuti per permettere sia a lui che a Schinon di leggere alcune notizie. Che fosse una persona un po’ violenta lo dimostrava anche in tarda età. Una volta, e c’era gente nella nostra osteria che stava giocando a carte, arrivò Schinon che chiese a mio padre di leggergli un articolo di giornale, ma il rumore era tanto assordante che chiese per due volte di fare silenzio. Visto che non otteneva alcun risultato si alzò in piedi e con tutta l’autorità di cui disponeva: – Vi dico di fare silenzio, maleducati! – Tutti si zittirono. Se lasciato stare era però molto rispettoso ed educato. Faceva il calzolaio ed era anche molto bravo. Mio padre mi raccontò a tal proposito questo episodio: … Una ragazza, a cui aveva risuolato le scarpe e che non aveva pagato, ogni volta che la incontrava le ricordava che doveva saldare il suo debito. Dopo tre volte che ripeteva tale frase, Schinon le ordin˜ di togliersi le scarpe, che gettò nel fiume, e disse: Tu ci hai rimesso le scarpe ed io la risuolatura”.

Riceputi Egidio, figlio di Ugo e di Berardi Rosa, i cugini Agostino e Dina riportano episodi che hanno sentito raccontare. “Dopo l’omicidio del Direttore della miniera, Schinon fuggì ed un certo ‘Bruno ad Canzagna’ di Falcino, suo amico, ad alcuni carabinieri in perlustrazione per catturarlo disse: – Se volete vedere vostra madre è meglio che vi togliate dai piedi – A Monteiottone raccontava le sue vicende, veniva anche il prevosto a parlare con lui, era un uomo di rispetto e la sua frase tipica era “Dio vede e Dio provvede”. Durante il periodo fascista ebbe qualche contrasto con elementi del partito, alcuni lo beffeggiavano in quanto repubblicano. Un giorno un fascistello in bicicletta lo invitò a diventare fascista, “Schinon” lo prese assieme alla bicletta e lo voleva buttare nel fosso. Il federale di Mercato Saraceno, Lelio Casacci, fece una riunione ai suoi imponendo di lasciarlo stare. Aveva prestato soldi al farmacista di Mercato Saraceno, tale Lanzoni e ad un certo Calbucci, titolare di una grossa cantina di vino. Venuto a sapere che gli affari di quest’ultimo non andavano bene, anzi stava per fallire, lo andò a trovare e disse: – Guarda che ho fatto 39 anni di galera e sono disposto a farne altri se non avrò i miei soldi! – Il Calbucci rispose: – Anche se fossi fallito i tuoi soldi erano sempre disponibili! -. Amava gli animali, in particolare i gatti, che in prigione gli hanno fatto molta compagnia. Aveva una gatta, cui era molto affezionato. Alvaro, un ragazzo di qui, tirò un sasso alla gatta che poi morì. Schinon ne fu molto addolorato e disse che questo Alvaro non doveva passare per un anno davanti a casa sua. Era stato in prigione anche in Sicilia. Aveva sempre la papalina in testa, forse soffriva di mal di testa. Faceva una certa impressione a noi ragazzi, in quanto era imponente, parlava in italiano e fumava le sigarette popolari. Non voleva sentire bestemmiare. In chiesa non andava mai. Il prevosto spesso conversava con “Schinon”; anche il Vescovo di Sarsina venne a trovarlo per cercare di convertirlo. Era un mazziniano fervente. Raccontava che in prigione era stato in una cella molto umida per tre anni e dove sgocciolava acqua di continuo. Aveva tenuto una specie di diario, sapeva disegnare ed in un foglio aveva rappresentato l’incontro a Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, in un altro era disegnata una donna nuda con le gambe accavallate nell’atto di mettersi una calza.
– Mia madre – é Egidio che parla – quando si accorse che stava male (aveva dei dolori lancinanti alla prostata, il male dla preda), voleva chiamare don Giorgi ma lui glielo impedì dicendo la sua solita frase “Dio vede e Dio provvede” -. La morte avverrà il 4 novembre 1939. Al suo funerale, in forma civile, and˜ anche il prevosto; la maestra delle scuole elementari, sig. ra Ricci, mandò anche i bambini. ”

Schinòn

De’ 1861 a Mongiutòn
da la Minghina, ch’la j’à vu fameja
l’era nasù acsé un bel bibòn!
E dé par dé u carsiva a maraveja.

U vins che u n’eva incora finì i zdot én
e l’eva zà na schina cm’é un tulir:
“Schinòn – uj dis d’j’amigh – vén via, vén
vén zò, in tla mignera it to’ luntir!”
La voj a d’lavuré la j’era granda,
u cal’ zò, dicis, tla Buratela.

Te’ pozz di franzis u zerca chi é ch’cmanda,
e u cumbiné la prema marachela.
U dmanda ma l’inzgnir d’lavuré “sota”
parché a sora u’n s’gvadagneva sà,
e sa st’invzgnir u ven sobit in rota
parché uj l’armanda, gendi: “si vedrà”.

Mo un dé Schinòn, dicis, u’l va spité
in tla boca de’ pozz, ch’u vniva sò
in te’ ziston, e cm’u paress a lé
par l’utma volta uj dmanda d’andé zò…
U’l vest ch’l’era dicìs. S’un po’ ad caghéta:
“Schinòn – l’arspond l’inzgnir – non hai l’età.
Schinòn u s’tiré fora una dupieta
sparéndi uj dis: ” Par me t’é campé sà”.

E cvést u fot e’ prem ch’u fasett fora,
mo u’n fasett d’j’et – Schinòn – par l’es ciapé
di murt. Chi l’à cnussù i l’arcorda incora
pr’i su trentanov en che l’à scunté.
‘U la cunteva lu: propi Schinòn:
“Durmì te’ tavulaz, sol acva e pen”
cvant u turnét in te’ su Mongiutòn
a cund é al scherpi m’i su paisen.

Schinon

Nel 1861 a Monteiottone/dalla Domenica, ch’ebbe a partorire/ nacque un sì bel bambino!/ Che giorno per giorno cresceva a meraviglia.

Avvenne che non aveva compiuto 18 anni/ che aveva già una schiena come un tagliere:/ Schinon, gli dicono alcuni amici, vieni, vieni giù / alla miniera ti prendono volentieri!/

La voglia di lavorare ce l’aveva/,scese già alla Boratella./
Al pozzo dei francesi cerca chi comanda/,e vi combinò la prima marachella./ Chiede all’ingegnere di lavorare in galleria/ perché sopra non si guadagna abbastanza,/e con costui venne subito in “rotta”/ perchè gliela rimanda, dicendogli: “Si vedrà”./

Ma un giorno Schinon, deciso, aspettò l’ingegnere/ all’uscita del pozzo e come si presentò/ mentre saliva ancora dentro il gabbione,/ per l’ultima volta gli domanda di andare giù…/Visto che era assai deciso, l’ingegnere ebbe paura: /”Schinon, gli rispose, non hai l’età”. / Schinon tirò fuori una doppietta/e sparandogli gli disse: “Per me hai campato abbastanza/

E questo fu il primo che uccise,/ma ne fece altri, Schinon, prima di essere preso,/ dei morti.
Chi l’ha conosciuto lo ricorda ancora/
per i trentanove anni che scontò./
Lo raccontava lui, proprio Schinon:/
“Dormire sopra un tavolaccio, solo acqua e pane”/ quando ritornò al suo Monteiottone /ad aggiustare le scarpe ai suoi compaesani. /