Leonardo Sciascia

É l’epoca d’oro delle zolfare é certo quella dell’Ottocento, quando gente nuova cominciò a tarlare le terre aride dell’altopiano, borgesi che sotto la terra stenta che coltivavano sentirono gialle vene di ricchezza improvvisamente splendere, di uno si racconta che nell’ozio di un meriggio vide lo zolfo affiorare da un formicaio, diventò ricco; e se qualcuno sbagliava, bucava a vuoto e si impegnava fino ai capelli, non pochi erano quelli che fondavano grandi fortune, e la catena d’oro che segnava due curve sul gilé di fustagno diventava l’emblema della ricchezza nuova. Per le zolfare che ovunque fiorivano, l’aria di Regalpetra prendeva un che di acre, bruniva l’argento che veniva ad ornare le case dei nuovi ricchi, persino negli abiti l’acre odore dello zolfo bruciato stingeva. Le colline che a nord chiudono il paese, l,altopiano che ad ovest comincia come una mezzaluna, assumevano un fossile tono rossastro, n-e-i-campi vicino alle zolfare le spighe non granivano per il fiato dei calcheroni. L ‘ingegnere Francese Gill, inventore di un nuovo tipo di forno per la combustione dello zolfo, batteva la zona; oggi gli zolfatari dicono – forno gill – non sanno che questo nome era per i loro nonni un uomo simpatico, con una bella barba, alla mano; ho conosciuto un vecchio che se ne ricordava, ricordava l’ingegnere Gill che si preparava il brodo con gli estratti, lo zolfataro ricordava questa magica operazione, con un cucchiaino di mastice – diceva – otteneva il brodo. Non capitava spesso agli zolfatari di conoscere uomini di comando cos“ alla mano. ” Pr˜vati, pr˜vati a scendere per i dirupi di quelle scale, ” – scrive un regalpetrese – “visita quegli immensi vuoti, quei dedalei andirivieni, fangosi, esuberanti di pestifere esalazioni, illuminati tetramente dalle fuligginose fiamme delle candele ad olio: caldo afoso, opprimente, bestemmie, un rimbombare di colpi di piccone, riprodotto dagli echi, dappertutto uomini nudi, stillanti sudore, uomini che respirano affannosamente, giovani stanchi, che si trascinano a stento per le lubriche scale, giovinetti, quasi fanciulli, a cui pi si converrebbero e giocattoli, e baci, e tenere materne carezze, che prestano l’esile organismo all’ingrato lavoro per accrescere poi il numero dei miseri deformi “. Quando dalla notte della zolfara i picconieri e i carusi ascendevano all’incredibile giorno della domenica, le case nel sole o la pioggia che batteva sui tetti, non potevano che rifiutarlo, cercare nel vino un diverso modo di sprofondare nella notte, senza pensiero, senza sentimento del mondo. A far cessare il lavoro dei ragazzi nelle zolfare venne, ma pochi anni addietro, e meglio delle leggi, l’energia elettrica; ma il momento buono era giˆ passato, delle tante zolfare a Regalpetra ne restava una sola in attivitˆ, quella di G“bili dove ancora lavorano un centinaio di picconieri.
Leonardo Sciascia – Le parrocchie di Regalpetra – Adelphi, 1991